Ipercolesterolemia al femminile

 

L’ipercolesterolemia in Italia è una condizione ampiamente diffusa e altrettanto ampiamente sottovalutata. Il progetto Cuore, che misura i fattori di rischio cardiovascolare in campioni di popolazione adulta, ha condotto due diverse indagini a distanza di tempo, la prima tra il 1998 e il 2002, la seconda tra il 2008 e il 2012. Ne è emerso che tra le persone di età compresa tra i 35 e i 74 anni il valore medio del colesterolo totale è aumentato sia negli uomini (da 205 a 211 mg/dl) sia nelle donne (da 207 a 217 mg/dl).

Ma soprattutto, dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, dicono che negli ultimi anni l’ipercolesterolemia, cioè l’eccesso di colesterolo cattivo, è in crescita di quasi il 30%. E peggio, circa il 40% della popolazione non è consapevole di avere livelli non a norma e solo il 24% degli uomini e il 17% delle donne è trattato efficacemente.

«Troppo spesso», conferma il dottor Fabio Belluzzi, professore a contratto dell’Università degli Studi di Milano, specializzato in cardiologia, «le persone non controllano il quadro lipidico fino a quando non hanno dei problemi. Io sono cardiologo ospedaliero al Policlinico di Milano e vedo la maggior parte dei pazienti dopo la manifestazione della patologia. Assistiamo a ricoveri di persone che hanno colesterolo e trigliceridi a livelli molto elevati e che non li hanno mai controllati, oppure si dimenticano di fare cura e prevenzione, perché quando si è in salute, non si pensa alla malattia».

Eppure, l’alto livello di colesterolo cattivo nel sangue, quello che si identifica con l’acronimo Ldl (low-density lipoprotein), è in assoluto il primo fattore di rischio per le cardiopatie ischemiche. E le cardiopatie ischemiche rappresentano la prima causa di morte tra le malattie cardiovascolari, che a loro volta sono la prima causa di morte in Occidente. Tutti i trial clinici dimostrano che chi soffre di ipercolesterolemia ha una probabilità di sviluppare coronaropatie 3,6 volte superiore rispetto alla popolazione normale.

Per le donne, come spesso accade, le cose sono più complicate. Quando in età fertile, il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari è inferiore rispetto a quello che corrono gli uomini. Gli estrogeni, che sono i principali ormoni sessuali femminili, quelli che promuovono la formazione dei caratteri sessuali secondari femminili, come il seno, contribuiscono a mantenere un corretto rapporto tra colesterolo buono e cattivo. Il problema è che questa condizione “protetta” induce a sottostimare il rischio. Anche quando con la menopausa il quadro ormonale cambia drasticamente e si riducono i livelli di estrogeni nel sangue. E le donne diventano un bersaglio degli eventi cardiovascolari alla pari degli uomini.

«Si calcola», precisa il dottor Belluzzi, «che il 38% delle donne in menopausa abbia colesterolemia elevata, uguale o superiore a 240 mg/dl, oppure sia sotto trattamento farmacologico specifico. Mentre il 35% circa è al limite, con livelli compresi tra 200 e 240».

Come proteggersi allora? «Il primo consiglio», dice il cardiologo, «è quello di fare almeno una nella volta nella vita un quadro del colesterolo totale, di quello HDL e di quello LDL – obbligatorio per le donne che entrano in menopausa. Ma anche dei trigliceridi, perché l’ateroma, o placca aterosclerotica, che si forma nei vasi bloccando il flusso del sangue e provocando ischemia sia al cuore sia al cervello, è fatta di colesterolo ma anche di trigliceridi. Ma sarebbe opportuno fare unoscreening anche prima della menopausa, per poter confrontare i dati. Poi, a seconda del rischio che si corre, bisogna iniziare una terapia che possa anticipare ed evitare l’infarto e l’ictus».

Una terapia a step, spiega il professore. «Se il paziente non collabora, è molto difficile arrivare a una soluzione positiva. Il primo passo è correggere lo stile di vita sbagliato». A cominciare dalla dieta.Che deve essere ricca di pesce, cereali integrali e fibre, verdura e frutta fresca. Al bando invece i grassi animali (ai quali preferire gli oli vegetali), i latticini e le carni grasse. Necessario anche un po’ di esercizio fisico, una mezz’oretta al giorno può essere sufficiente. E, naturalmente, vanno eliminati fumo e alcol.

Anche gli integratori giocano un ruolo importante nella gestione e controllo dell’ipercolesterolemia: le linee guida europee (ESC-EAS), si riferiscono in particolare ai prodotti contenenti fitosteroli e fitostanoli (sostanze che sembrano in grado di ridurre l’assorbimento del colesterolo fino al 40%) e la monacolina K, una statina naturale presente nel riso rosso fermentato, capace di inibire la sintesi, abbassando del 30% i livelli di colesterolo cattivo e aumentando del 20% quello buono.

Se il quadro lipidico, però è più grave, puntualizza il medico, si deve ricorrere a farmaci specifici.“Come le statine, che inibiscono la sintesi del colesterolo endogeno, o altri più nuovi come l’ezetimibe, che anziché bloccare la produzione di colesterolo ne impedisce l’assorbimento a livello intestinale. Ci sono i fibrati, che sono attivi sui trigliceridi, e infine gli inibitori di PCSK9 che diminuiscono il numero dei recettori di LDL sulla membrana epatica. E dunque facilitano l’eliminazione del colesterolo piuttosto che bloccarne la sintesi”.

Per evitare di ritrovarsi con livelli di LDL così alti da non lasciare alternative alla terapia farmacologica, conclude il dottor Belluzzi, “l’invito che mi preme fare è: non siate pigri, muovetevi. Bisognerebbe usare molto meno l’automobile e spostarsi a piedi. Io abito a un paio di chilometri dall’ospedale. E ogni giorno ci vado a piedi, a passo veloce”

Fonte: www.esseredonnaonline.it


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